mercoledì 13 gennaio 2016

La crisi 2007 -2015 ? Articolo di Stefano Pasquali

Da Stefano Pasquali, IV  D SIA, un importante contributo sulla crisi economica originatasi nel 2007

Quando si vuole rappresentare in un grafico la vita di una persona, di un impero o di un qualsiasi altro fenomeno, il risultato avrà sicuramente la forma di una parabola. Tutto ha un principio, poi si sviluppa, raggiunge il suo massimo sviluppo e, inesorabilmente, inizia il declino. Ciò accade anche in economia, dove si verificano le fluttuazioni cicliche. La crisi, sostanzialmente, è quasi inevitabile, nel lungo periodo, e di solito è successiva ad una crescita sfrenata, come nel 1929 e, più recentemente, nel 2007. La differenza tra i due periodi di difficoltà (e che ha reso la prima crisi ben peggiore della seconda) è rappresentata dal ruolo dello Stato. Fino agli anni ’30, infatti, andava per la maggiore la corrente di pensiero liberista (o neoclassica), che era contraria ad un qualunque intervento statale nell’economia, e c’era la convinzione che l’offerta avrebbe sempre trovato la sua domanda. Per questo motivo, le aziende continuarono a produrre ma, ovviamente, i consumatori non erano più disposti a spendere, e ciò acuì ancora di più la crisi.
Tornando a tempi più recenti, il periodo che va dal 1995 alla fine del 2006 è stato contraddistinto da uno sviluppo senza precedenti dell’economia mondiale, grazie all’exploit di alcuni paesi del sud-est asiatico e dell’America latina, che per la prima volta si stavano affacciando nell’elite dei grandi paesi. Durante questi anni si verificarono comunque due crisi, una nel ‘97/’98 e una nei primi anni 2000, ma entrambe non ebbero gravi conseguenze sui paesi non coinvolti, quindi l’economia reale andò avanti come se non fosse accaduto nulla. Ci furono quindi altri cinque anni molto fiorenti, con un alto tasso di liquidità e un’inflazione molto bassa.
Questo periodo idilliaco viene però compromesso da alcune banche, tra cui la Lehman Brothers e la Goldman Sachs, che hanno concesso prestiti anche alle persone che non avevano i requisiti, cioè che non avevano la disponibilità economica di pagare il loro debito una volta scaduto. Si venne dunque a creare la cosiddetta bolla dei prestiti (la stessa cosa sta accadendo in Cina in questo periodo, unita ad un brusco rallentamento dell’economia, e i risultati sono disastrosi: -7% in borsa dopo poche ore dall’apertura e chiusura forza a metà giornata per evitare un tonfo che sarebbe stato, circa, del 15%) a causa della quale molti avevano intuito che ci sarebbe stato un deprezzamento di tutte le attività collegate al credito fondiario. Come tutti ben sappiamo, la storia è andata in maniera molto differente, con conseguenze ben più gravi di quelle inizialmente previste. La Lehman Brothers dichiarò fallimento, come molte altre banche americane e britanniche. Se al giorno d’oggi non prevalesse la corrente di pensiero Keynesiana (per la prima volta applicata da Franklin D. Roosevelt per garantire la ripresa economica statunitense grazie al celebre “new deal”), il tonfo delle economie mondiali sarebbe stato ben più rumoroso  dei 3000 miliardi persi da quegli istituti bancari e della recessione, che si è venuta a verificare per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Se già questo vi sembra un danno considerevole, e lo è, pensate cosa sarebbe successo se le varie Banche Centrali non fossero intervenuto, attuando il fallimento controllato per le varie banche. Si sarebbe rischiato un altro ’29, dove persone anche molto benestanti passarono in un giorno da una bella casa a dormire sotto un ponte.
La bolla dei prestiti non è stata la causa principale della crisi quanto piuttosto la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno di squilibri macroeconomici e di uno sviluppo finanziario privo di vincoli (non a caso si dice che dal 2002 in poi ci sono stati i 5 anni più splendenti della storia del capitalismo sfrenato). Prima della crisi del 2007 erano molto in voga dei modelli di crisi finanziarie il cui più grande limite era quello di rappresentare situazioni nelle quali gli operatori economici si erano comportati in modo razionale, il che non è quasi mai vero: ai primi segni di difficoltà, che seguono periodi di enorme fiducia, gli investitori passano improvvisamente dalla continua richiesta di rialzi allo scappare in fretta e furia e fuggire dagli impegni finanziari. Questo comportamento, benché comprensibile, è molto dannoso, perché fa crollare i prezzi degli strumenti finanziari, causa problemi di liquidità e comporta un brusco peggioramento dei bilanci delle banche. È stato dunque molto saggio tornare ad affidarsi alle idee proposte da Keynes.
La causa della bolla dei prestiti può essere ritrovata nella tendenza degli Stati Uniti (ma anche di molti altri paesi occidentali) di spendere più del reddito prodotto ha portato un forte indebitamento del paese, che è accaduto mentre i paesi emergenti, con la Cina in testa, (tutti paesi dove si esportava molto e non si dedicava molto budget alla spesa interna)hanno aumentato a dismisura le riserve di moneta estera (accumulata con le esportazioni). Ad aggravare questa situazione ci ha pensato la politica economica dell’amministrazione Bush, che favorì l’aumento della spesa con una politica di bilancio espansiva ed una politica monetaria permissiva che ha comportato l’azzeramento della propensione al risparmio delle famiglie, che hanno deciso dunque di investire sugli immobili. Se a questa situazione aggiungiamo il grave errore di valutazione commesso dalle agenzie di rating, che avevano valutato molto positivamente (addirittura con delle AAA) investimenti in realtà molto rischiosi (infatti con lo scoppio della crisi hanno revisionato le loro valutazioni iniziali) il quadro è completo.

  STEFANO PASQUALI

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