I briganti: chi erano?
Il fenomeno del brigantaggio si sviluppò
prevalentementenell’Italia meridionale continentale tra il 1861 e il 1865 e si
arricchì anche di motivazioni politiche causate da nostalgie borboniche.
È necessario chiarire
come prima cosa che il brigantaggio non fu un fenomeno che interessò la parte
meridionale della nostra penisola solo dopo l’Unità, ma fu un fenomeno dovuto
in primo luogo all’arretratezza generale di quelle regioni, che impensierì in modo
notevole anche la dinastia borbonica.
In pratica tutte le province del regno (ed in particolare Calabria, Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata) diventano lo scenario di una guerriglia sanguinosissima che vede contrapposto l’esercito regio (composto principalmente bersaglieri e guardie civiche) a bande di irregolari.
La lotta al brigantaggio è da considerarsi come la prima guerra civile italiana, come sostiene lo storico Giordano Bruno Guerri ne Il sangue del Sud”?
Secondo Alessandro Barbero, che qualche anno fa con altri
storici e saggisti ha partecipato ad un dibattito proprio sul brigantaggio, la
risposta alla suddetta domanda è negativa in quanto, come sostiene il medesimo,
nel Sud esisteva una classe borghese fedele allo stato unitario. Decine di
migliaia di meridionali fuggirono al Nord dopo il 1848 e a Torino se ne
contarono circa 7.000. C’era anche una Guardia Nazionale formata da meridionali
che combatté i briganti.
Queste ultime,
guidate da briganti come Carmine Crocco Giuseppe o Nicola Summa detto Ninco Nanco combattono
nel nome della monarchia assoluta di Francesco II ma, con questo pretesto, si
rendono spesso protagonisti di furti e razzie che non hanno
nulla di politico contro la classe dei “galantuomini” (cioè
la borghesia di villaggio e i proprietari terrieri), che è oggetto di violenze
e grassazioni sulla base di una sua adesione alla causa sabauda più presunta
che reale.
Le forze italiane,
d’altro canto, si trovano a fronteggiare la guerriglia di bande sempre più
numerose, ben armate (grazie ai finanziamenti che giungono dai Borbone e dall’Internazionale
legittimista) e con una conoscenza del territorio molto superiore.
Questo fa sì che l’esercito regio “piemontese” subisca un numero considerevole
di perdite e che il nervosismo degli alti comandi si traduca quindi in una
politica di ritorsioni che, molto spesso, non fa differenza
tra briganti e semplici contadini, donne o minori. Interi villaggi sono
interamente distrutti e gran parte dei loro abitanti giustiziati senza
processo: molti ufficiali italiani, oltretutto, non fanno nulla per nascondere
il loro odio verso le plebi meridionali e si rendono protagonisti di politiche
assolutamente comparabili a quelle degli eserciti europei impegnati, negli
stessi anni, nelle guerre di conquista del continente africano. Queste
misure evidentemente contrarie non solo allo Statuto Albertino ma
alla stessa natura “liberale” con cui il Regno di Sardegna si era proposto come
realizzatore dell’ideale risorgimentale, riescono tuttavia a debellare
in circa cinque anni il brigantaggio, complice anche la fine dei
finanziamenti provenienti dalla corte borbonica e l’accettazione, da parte di
tutte le potenze europee, del nuovo Stato italiano.
.
Il “brigante”
diviene un archetipo utile a esplorare e rappresentare i processi di lotta, i rapporti di forza tra dominanti e dominati,
ma anche un’occasione per parlare di oblio, memoria e storia a
cavallo fra passato e presente.
Riferimenti
bibliografici:
Giordano Bruno Guerri, il Sangue del sud (Mondadori, Milano, 2010)
Alessandro Barbero, Brigantaggio, una guerra italiana https://www.youtube.com/watch?v=KYOPMNsn_CI
https://www.camillocavour.com/
wikipedia
weschool
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